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    Elettrotecnica,  Ingegneria

    La nascita dell’elettrotecnica scientifica: l’ingegnere elettrico come figura postmaxwelliana

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    Adriano Paolo Morando

    Dipartimento di Elettrotecnica – Politecnico di Milano

    Gli anni che vanno dal 1846 al 1864, in attesa che l’alternata risulti trasportabile e possa alimentare un motore capace di autoavviarsi, la dinamo viene studiata con grande impegno da scienziati e tecnici.

    Tra i lavori più importanti di quegli anni si segnalano quelli di Weber, Neumann, Jacobi, Poggendorf e Lenz. Nel ’67 tali indagini sarebbero culminate, su The Electrician, in un’analisi teorica dello stesso Maxwell. Giudicata esemplare dagli storici della scienza, essa avrebbe fatto il punto sull’autoeccitazione nelle macchine a collettore. Ne sarebbe seguito, per un decennio circa, un periodo di latenza al termine del quale, con la maggior richiesta di potenza da parte di un’illuminazione in via di sviluppo, ci sarebbe stata una nuova e più intensa fase di studio. Questa si sarebbe infine conclusa nell’84 con la pubblicazione, da parte di Clausius, di una teoria evolu-ta e di più ampio respiro nella quale, per via termodinamica, venivano messi in equazione anche aspetti fenome-nologici fino a quel momento giudicati secondari.

    Le aspettative e le scelte di base di quel periodo avrebbero dato vita negli anni successivi a quella fase eroica della futura ingegneria elettrica che Galileo Ferraris definirà leggendaria. Iniziata con la costruzione di dinamo destinate all’alimentazione di una sola lampada e che si meritavano l’appellativo di “grandi” se solo erogavano qualche cavallo di potenza, essa poté dirsi conclusa nel ’91, quando, su una distanza di 170 km, tra le cascate di Lauffen e la città di Francoforte, un elettro-dotto trifase trasportò una potenza di 200 cavalli. In quell’anno il problema della trasmissione a grande distanza delle “correnti forti”, da poco delineato maxwellianamente da Poynting e da Heavi-side, avrebbe trovato la sua prima soluzione concreta. Con essa, seppur ancora circoscritta al ruolo di semplice capitolo della fisica tecnologica, sarebbe apparsa l’elettricità colta nei suoi rapporti con la tecnica, cioè, con Ferraris stesso, l’elettrotecnica.
    Sul versante tecnologico la situazione non appariva altrettanto promettente: vi regnava infat-ti, in attesa della comparsa di un contributo chiarificatore di pari efficacia, la più completa confu-sione progettuale. Delegato ufficiale del governo italiano all’esposizione di Parigi dell’81, Ferraris, osservando la dinamo Edison esposta, annota al riguardo che «forse non tutte le sue parti hanno le disposizioni più razionali». In effetti, con la progressiva crescita della potenza in gioco, andavano sempre più evidenziandosi le difficoltà dovute all’assenza di una teoria dei circuiti magnetici capace di correlare in termini di dimensionamento magneto-elettrico la geometria della macchina con il campo in essa racchiuso. Tutto questo accadeva benché, almeno in linea di principio, le conoscenze necessarie allo scopo fossero già interamente racchiuse nella Dynamical Theory da poco formalizza-ta. Per superare tali difficoltà sarebbe bastato solamente conferire forma stazionaria alle equazioni di Maxwell e successivamente integrarle lungo percorsi ferromagnetici filiformi concatenati con le correnti di statore e rotore. Per approdarvi, la Tecnica, sottraendosi in tal modo consapevolmente al-la guida della Scienza, avrebbe invece adottato un percorso metodologico del tutto autonomo, non di rado più empirico del lecito ed assai spesso sofferto e contraddittorio. Ne avrebbero risentito, in particolare, l’analisi fondazionale implicita nella transizione campi-reti e, in misura non minore, la teoria delle macchine elettriche. Tra queste il trasformatore, il primo ad essere incontrato dagli elet-trici lungo il cammino che doveva portarli all’alternata, per le errate interpretazioni di cui fu ogget-to, sarebbe stato la vittima più illustre …

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